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DI GEOFILOSOFIA

Luisa Bonesio

I limiti del paesaggio


I limiti del paesaggio: relazione alla giornata dallo stesso titolo,
Monte S. Salvatore (Ticino), 3. 10. 2003
F. Hodler, Grammont, 1905

2. Chi sono gli abitanti?

Se il paesaggio viene definito come manifestazione e quadro di vita di una cultura e non mera patinatura estetica proiettata da un osservatore esterno, trasmissibile nella sua concretezza e nel suo valore simbolico e identitario grazie alla partecipazione a una trama di memoria, valori e tradizionalità ininterrotte, identificando negli abitanti e negli appartenenti alla comunità locale i principali e normali produttori e conservatori della territorialità, in un’epoca in cui la tradizione è stata in tutto o in parte interrotta, i linguaggi comunitari e le sapienze locali si sono perduti, impoveriti o sono diventati inintelligibili e la residenzialità ha assunto forme e temporalità estranee alla sostanziale stabilità del mondo rurale, occorre interrogarsi sulla nuova figura dell’abitante che esprime la sua appartenenza al luogo. Per certi aspetti, l’appello heideggeriano alla considerazione dell’abitare come luogo della convergenza di terra e cielo, mortali e divini, che ne identifica il senso ontologico, oggi è più che mai problematico; né, d’altra parte, è possibile sempre riconoscere negli abitanti locali i portatori di consapevolezza identitaria e di responsabilità e cura del proprio patrimonio paesaggistico e memoriale. Al contrario, molto spesso si verifica che la richiesta di protezione e conservazione dei beni architettonici e paesaggistici provenga da soggetti esterni, e non solo a scopo di valorizzazione e sfruttamento turistico. La crescente mobilità lavorativa e residenziale, d’altra parte, è un potente agente di delocalizzazione, assieme alla complessa dislocazione delle attività produttive, che lacera l’originario tessuto territoriale e ne scompone la percezione e l’uso, facendone smarrire l’unità profonda a favore di percorsi accentuatamente funzionali.

In questo contesto epocale, nondimeno, si assiste a una crescente domanda di "orizzonte", di luoghi concreti e riconoscibili in cui l’abitare ritrovi almeno le sembianze di una domesticità perduta, di una Heimlichkeit che talora assume il carattere di una nuova consapevolezza e ricerca di identità. Crescenti esperienze di riuso e restauro di borghi rurali, abbandonati a seguito della fase più devastante dell’industrializzazione, esemplificano la tendenza, anche da parte di "cittadini", a costituire nuove comunità che trovano nei caratteri locali la loro ragion d’essere. È una sorta di progetto di appartenenza elettiva, che prescinde da ragioni anagrafiche o professionali, a un luogo di cui si riconosce il nomos, valorizzandolo e ricostituendone, per quanto possibile, la significatività, riattivandone la memoria, i saperi, le pratiche virtuose, gli stili edilizi, le pratiche agricole, i simboli e i percorsi della ritualità e della religiosità, ecc. Non più un "dato", come nel passato, una provenienza o una condanna, oggi il luogo diventa, in un mondo in cui drammaticamente prevale il deserto dei non-luoghi, una meta cui tendere, uno spazio di senso che deve essere riconquistato attraverso un progetto e una consapevolezza spesso difficile da ridestare. "Nella contemporaneità […] la pratica della cura e della conoscenza del luogo scardina totalmente l’alternanza fra insiders e outsiders. […] Gli insiders (gli interni, quelli che risiedono da tempo in un luogo) possono essere delocalizzati, possono cioè non intessere nessuna relazione conoscitiva e attiva che rimetta in gioco le valenze di rappresentatività e di valore simbolico, mentre gli outsiders (gli esterni, coloro che arrivano da fuori, da lontano, residenti da poco, o semplicemente imprenditori che non vivono nel luogo) possono interpretare vantaggiosamente le potenzialità locali". Il che equivale a riconoscere che l’agire secondo una logica localizzata, prendendosi cura di un territorio, non coincide più necessariamente con l’essere "locali" in senso anagrafico; piuttosto "si tratta di coloro che riconoscono i molteplici valori di un luogo, e per questo lo amano (sono disposti a creare con il luogo stesso una relazione densa di significato), e di conseguenza se ne prendono cura. Il luogo oggi esiste solo dove è curato, indipendentemente dal tipo di proprietà a cui è sottoposto: non sono gli insiders e gli outsiders che possiedono il luogo, ma solo chi lo cura, chi lo conosce, chi continuamente lo riproduce, interno o esterno alla comunità insediata".

Così, riconoscere che i paesaggi oggi tornano a essere scoperti e valorizzati come espressione di identità culturali, è prendere atto di una obsolescenza (o comunque insufficienza) ermeneutica del paradigma produttivo, dovuta anche allo scollamento progressivo della "base" economica rispetto ai paesaggi locali. "Mentre perdeva terreno in questa sua dimensione produttiva e conseguentemente anche nella sua funzione di strumento analitico, il paesaggio preparava la sua rivincita sul piano dell’identità culturale, come insieme di rappresentazioni e di immagini condivise e sempre più necessarie. […] Il nuovo paradigma descrittivo, coniugando globale e locale, deve saper dare una risposta tanto all’esigenza di connessione, quanto all’esigenza di coesione, ovvero di identità. È per questa via che i paesaggi diventano un patrimonio da conservare e come tali acquistano una nuova oggettività, o meglio concretezza".

Quella che ho chiamato "la comunità di paesaggio" appare dunque come il prodotto di una complessa interazione di fattori: il "prendersi cura", la riattivazione della memoria e della sua trasmissione, in cui un aspetto centrale è quello della riscoperta di modalità accorte e rispettose di usare le risorse, la individuazione e la assunzione delle "invarianti" che costituiscono lo "statuto" del luogo, e dunque l’attuazione o il ripristino di uno stile di territorializzazione coerente con la fisionomia del luogo e la sua sostenibilità ambientale e culturale. È evidente che, soprattutto in società che hanno perduto i riferimenti e gli orientamenti tradizionali e le simboliche in grado di costituire un tessuto condiviso di significati, all’individualità (identità) di un luogo si accede ormai, per lo più, attraverso un cammino di ricostruzione della "biografia territoriale", della sua perduranza, e dunque delle ragioni intrinseche della sua stabilità dinamica lungo archi temporali molto lunghi, di contro alla rapidissima trasformazione e caoticizzazione contemporanea del territorio che ne dissolve ogni memoria e consapevolezza del limite costitutivo. Questa attività di ricostituzione dei fili interrotti della memoria locale e territoriale non può non passare attraverso l’educazione, la trasmissione di consapevolezza e di saperi, la condivisione del valore fondativo dell’identità paesaggistica rispetto alla possibilità di una comunità stabile, esperta delle possibilità e dei limiti consentiti dal luogo, in grado di costruire sempre più finemente la sua identità culturale a partire dalla sua appartenenza al luogo condiviso che la ospita.



 

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