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Un libro controcorrente della filosofa valtellinese docente all’università di Pavia LO SVILUPPO? È NASCOSTO NEL PAESAGGIO Per Luisa Bonesio in montagna va azzerato tutto e riscoperti luoghi e tradizione Da tempo nel lessico corrente la parola progresso è
stata sostituita da sviluppo. Ma quando pensiamo allo sviluppo è
soprattutto, se non esclusivamente, a quello economico che pensiamo, col
sottinteso che sviluppo economico e progresso coincidano. Ma non sempre
è così. Lo sviluppo in montagna, ad esempio, pensato in
termini esclusivamente economici produce la distruzione dell’ambiente
e del paesaggio alpino e la sua inevitabile omologazione alla cultura
urbana di pianura. La montagna, infatti, ha una propria identità
geografica e culturale al cui centro sta il paesaggio frutto di una lunga
tradizione in cui si esprime un rapporto non di conflitto, ma di armonica
integrazione fra l’uomo e la natura. Il rispetto della tradizione
è dunque il primo requisito per un vero sviluppo in montagna. Ma
tradizione non significa necessariamente museificazione del territorio,
stasi economica, nostalgia del passato, ma significa sviluppo di attività,
come quelle agrarie, che nascono da un rapporto diretto con la natura,
significa costruire case che entrano in rapporto armonico con lo spazio
circostante e siano espressione soprattutto di un bisogno reale, di una
necessità di vita, perché è la vita che trasforma
un territorio naturale in un “luogo”, che dà cioè
ad esso senso e significato. Per dirla con Pier Luigi Cervellati, insomma,
in montagna “la tradizione è un’innovazione riuscita.”
E questa è anche la convinzione di Luisa Bonesio, valtellinese,
docente di estetica all’università di Pavia, cui dobbiamo
saggi penetranti su Nietzsche, Spengler e Jünger, critici fra i più
radicali della modernità, ma cui dobbiamo anche una vigorosa ripresa,
in chiave geofilosofica, degli studi sul paesaggio, in cui esso sta al
centro della riflessione sulla società e sull’uomo. Il paesaggio,
infatti, per dirla con Spengler è “il secondo volto dell’uomo”,
quello del suo spirito e della sua storia fissati nella natura. Questo
volto è oggi minacciato per la Bonesio dalla prevalenza pressoché
assoluta nel mondo globalizzato dell’economico sul culturale, cioè
della spasmodica ricerca di un benessere materiale che vede nella natura
solo un ostacolo e un limite da superare e si traduce perciò continuamente
in disagio spirituale, fondato com’è sullo sradicamento e
sulla perdita dei “luoghi” come punto di riferimento indispensabile
dell’esistenza e di produzione di senso per la vita. Gioca certamente
in tutto questo l’idea che il rapporto primario con la terra e con
la natura sia il fondamento di ogni cultura e gioca la forte avversione
a ogni forma di nichilismo per cui nulla ha valore e tutto è possibile,
ma gioca anche sicuramente l’origine montanara e valtellinese della
Bonesio, che trapela in più punti del libro come quando ricorda
lo sciagurato abbandono nel recente passato, in nome di un malinteso sviluppo,
della coltivazione del grano saraceno, un sapere antico che oggi, nel
momento in cui se ne è riscoperto il valore dobbiamo rapidamente
riapprendere. O come quando ricorda la vicenda della centrale di teleriscaldamento
“di un paese delle Alpi”, in cui è per noi facile riconoscere
Sondalo, paese natale della Bonesio. Qui per la centrale che brucia legno
è stato sacrificato, con il consenso degli ambientalisti, un grande
e antico prato, elemento distintivo dell’identità e della
memoria del paese, in cambio della pulitura dei boschi e della manutenzione
dei sentieri. Un esempio questo che per Luisa Bonesio dimostra come la
prospettiva ecologica, centrata sull’ambiente, a differenza di quella
geofilosofica, centrata sul rapporto uomo-natura, esprima una visione
riduttiva che non riesce “a comprendere la logica culturale ed epocale
che fa sì che il rapporto con la natura possa essere concepito
in termini di dominio e di intervento indiscriminato”.
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