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DI GEOFILOSOFIA

Luisa Bonesio

Il ribelle e l'occhio del bosco


Relazione al Convegno "Ernst Jünger: attualità del pensiero", Vicenza 2002


F. Marc, La volpe

1. La paura, sentimento del tempo

“La paura è uno dei sintomi del nostro tempo”, scriveva Ernst Jünger in Der Waldgang, attribuendo alla totalizzazione posta in atto dalla tecnica la responsabilità di avere reso abissalmente insicuro il mondo per l’uomo: “Le città sempre più artificiali, le comunicazioni automatizzate, le guerre tra Stati e le guerre intestine, gli inferni delle macchine, il grigiore dei dispotismi, le prigioni e la più raffinata caccia alle streghe” (1) sono il panorama della mobilitazione totale, in cui la sicurezza della tecnica si divarica da quella del singolo: “Il processo si snoda tra due poli - di cui uno, quello della totalità, assume forme sempre più imperiose e avanza vincendo ogni resistenza. Troviamo qui il movimento compiuto, lo sfoggio regale, la sicurezza assoluta. Al polo opposto è il singolo, sofferente e inerme, in preda a un’insicurezza altrettanto assoluta. I due estremi si condizionano, giacché l’imponente esibizione del potere si regge sulla paura, e la coercizione ottiene i suoi risultati migliori dove la sensibilità è resa più acuta” (2). Il luogo del potere non è più nelle sedi tradizionali; è nelle mani di chi detiene la potenza della tecnica, unica fonte di autorità e di ricchezza. L’autorappresentazione della tecnica è nel segno di un’assoluta padronanza, di quell’esattezza nella quale Heidegger individuava il raggiungimento da parte della volontà di potenza della “sicurezza estrema e incondizionata” (3), ma proprio quest’assolutismo della potenza tecnica, che decreta la fine di ogni verità, rinchiude l’uomo in un’oppressione tanto più forte quanto meno avvertita.

Già durante la seconda guerra mondiale, Jünger ebbe netta la consapevolezza che l’epoca delle tempeste d’acciaio e delle guerre di materiali si stava trasformando con grande rapidità in un’era di irradiazioni, nella quale il martello nietzschiano poteva essere deposto, perché ormai il crollo del vecchio edificio di riferimenti e certezze era avviato e schiere di demolitori erano da tempo all’opera. Si schiudeva invece una fase in cui, prima dell’implosione definitiva, sarebbe stato necessario munirsi di nuovi e più sottili strumenti per prepararsi al passaggio. “Ciò che qui continua a scricchiolare annuncia qualcosa di diverso, non annuncia soltanto abbattimenti. A noi sono riusciti i primi, incerti passi al di là della soglia dell’era delle radiazioni, un’era che richiede un equipaggiamento nuovo, anche nelle cose spirituali” (4). È come se improvvisamente l’umanità si ridestasse da un lungo sonno e si scoprisse impegnata in un viaggio di cui non conosce in realtà la meta, né modi per orientarsi (5). Improvvisamente siamo chiamati a rispondere all’interrogazione di una soglia che si schiude nella illusoria compattezza calcolata del mondo; incalcolabile, l’evento del passaggio si annuncia nel movimento inavvertito ma terribile della serpe della Terra. Se quello che Benn chiamava il “rettile Storia” è forse uscito definitivamente di scena, il suo posto è preso dal ritorno periodico della Serpe della Terra, che segnala l’ingresso in una fase meta-storica, in cui è possibile il ritorno di potenze mitiche e arcaiche. Che la sua estraneità sia soltanto apparente, dal momento che si tratta di un “ritorno”, è provato dalla paura fobica che suscita: “Solo il terrore diventa più grande quando potenze provenienti dai tempi più antichi o dagli spazi più remoti sopraggiungono presso di noi. Questo terrore è un indizio del riconoscimento, un segno che le abbiamo già conosciute una volta” (6).

Questo, anche, significa per Jünger accorgersi che Altro è qui, in mezzo a noi, pronto a ridestarsi a tempo debito o a muoversi provocato dalla nostra maldestrezza. Qualcosa di elementare, di terrestre, magari qualcosa di sacro, comunque minaccioso per noi nella misura in cui ne abbiamo trascurato o negato l’esistenza, misconosciuto il significato, e da lungo tempo abbiamo disimparato a riconoscerne i cenni; qualcosa può da un momento all’altro fare irruzione in quella che ormai riteniamo una dimora esclusivamente nostra: ma solo perché era già da sempre lì, era in realtà il più prossimo, così vicino a noi da sfuggire a tutti i nostri sistemi di protezione e di assicurazione. E, in modo complementare, l’uomo acquisisce (o ri-acquisisce) facoltà sottili che fanno parte del suo “equipaggiamento” per il Passaggio. Il conio attraverso la forma del lavoro che la tecnica ha impresso all’umanità, forgiandola nel tipo dell’Operaio, in quest’ottica va vista come la preparazione necessaria di una nuova specie: “La personalità dell’uomo sfuma e si modifica. L’uomo perde i suoi tratti, accedendo alle potenzialità insospettate di un medium: nei suoi collettivi, come nella sua tecnica, la forma precede i contenuti. Si spiega così il monopolio della cifra; è significante, ma sprovvista di senso. È significante come medium, aperta a tutto e a tutti grazie alla sua vacuità. Di fronte all’innominato, oggi siamo tutti più vulnerabili che mai” (7).

La preparazione al Passaggio avviene prevalentemente mediante l’imbiancamento, l’estendersi di un grigiore indifferenziato in cui risale a visibilità la trama dell’indistinto. È in base a questo movimento che può riaffiorare l’arcaico in tutte le sue manifestazioni. Il primitivo, il geologico, il paleontologico diventano sincronici all’epoca della vertiginosa accelerazione: il tempo che non ha più tempo, ma solo lo spazio per la straniante sincronicità di una ricapitolazione estrema (8). L’algido cuore della modernità tecnologica, la freddezza razionale delle sue costruzioni attira su di sé la combustione del fuoco tellurico, il ritorno di ogni primitivismo rimosso - lì è il punto cieco dell’infuturamento moderno, la soglia enigmatica in cui tecnica e Terra entrano in contatto e reciproca metamorfosi: “In questo senso, il serpente è un segno di confine - non certo l’unico. La sua comparsa risveglia una memoria ancestrale della vicinanza della trama in cui anche la differenza tra la vita e la morte, come tutte le differenze, scompare. Il velo si fa più sottile, incolore” (9). Si può quindi comprendere come questo sia l’animale araldico del pensiero jüngeriano, testimone di un ritorno all’indifferenziato (è più giovane dei corrispettivi animali dotati di zampe), allo strisciare che ha rinunciato agli arti per essere più vicino alla terra (10), risanatore e donatore di morte. In quanto “animale assoluto” (11), che appartiene al novero delle forme primordiali, è quasi l’archetipo atemporale stesso; nucleo sottratto al tempo, è connesso alla distruzione delle forme e alla riemersione dell’indifferenziato che si manifesta nell’“enorme e spietata” circolazione di energia propria dell’epoca titanica, nell’affiorare di ciò che Jünger chiama “la pura vena dell’accadere” (12): “quando il tempo è abolito, il Serpente delle origini appare, risalito dagli abissi” (13).

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1. E. Jünger, Trattato del Ribelle, tr. it. di F. Bovoli, Adelphi, Milano 1990, p. 43.
2. Ivi, p. 44.
3. M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica, in Saggi e discorsi, tr. it. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 57.
4. E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, tr. it. di C. Sandrin e U. Ugazio, Multhipla, Milano 1982, p. 266.
5. “Se ora noi ci troviamo su un’orbita nuova o, detto altrimenti, subiamo un mutamento che non ha precedenti nella storia del nostro mondo e delle nostre civiltà, dobbiamo pensare che tale mutamento stia accadendo fuori della nostra coscienza [...]. Un Grande Passaggio si manifesta con l’arricchimento di forze che certo hanno continuato ad agire nell’arte e nella storia, senza tuttavia esservi apparse nella loro purezza. La radiazione cosmica si fa più intensa, la trama tellurica si stende salendo in profondità. Sono eventi che possono o non possono fare scalpore: probabilmente proprio le fasi decisive passano inosservate. Improvvisamente il serpente è nella casa. Forse ha vissuto lì da sempre” (ivi, pp. 268 e 275).
6. Ivi, p. 281.
7. E. Jünger, Zahlen und Götter, in Sämtliche Werke, XIII, 7, Klett-Cotta, Stuttgart 1981, p. 329 [traduzione mia].
8. Sul tema della ricapitolazione operata dalla tecnica, cfr. L. Bonesio, Fisiognomica del nichilismo, in Ernst Jünger e il pensiero del nichilismo, Atti dell’omonimo convegno internazionale, Milano 2000, a cura di L. Bonesio, Herrenhaus, Seregno 2002.
9. E. Jünger, Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, cit., p. 291.
10. “In questo senso il serpente non solo è il più perfetto degli animali, ma anche l’elemento della vita più perfettamente animale e primitivo, com’è espresso anche dall’orizzontalità del suo corpo che tocca terra per tutta la sua lunghezza. L’alta perfezione fisica del serpente corrisponde a quella di Lucifero nell’immateriale” (E. Jünger, Atlantische Fahrt, in Sämtliche Werke, VI, 6, Klett-Cotta, Stuttgart 1982, p. 141[traduzione mia]).
11. E. Jünger, Die Hütte im Weinberg, in Sämtliche Werke, III, 3, Klett-Cotta, Stuttgart 1979, p. 637 [traduzione mia].
12. Ivi, p. 638 [traduzione mia].
13. Ivi, p. 637 [traduzione mia].