Caterina
Resta
Europa mediterranea. Una prospettiva geofilosofica
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F. Vallotton, Europa
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Atti della XXVIII edizione delle Giornate
internazionali di studio promosse dal Centro Pio Manzù (Rimini,
19-21 ottobre 2002): Il corno di Heimdall,
“Strutture ambientali”, 124, 2002, pp. 83-95 |
4. L’Europa
oltre l’Occidente
Eppure, affinché l’Europa possa ritrovare
se stessa, quello spirito europeo che fin dal suo sorgere sul suolo greco
l’ha resa unica, essa deve prima affrontare un cruciale dilemma,
tornando, innanzitutto, a ripensare la propria origine, sciogliendo quell’ambigua
identificazione in virtù della quale ama assimilarsi senza resto
all’Occidente, la terra del sol calante, sulla quale scende la notte
di un ottenebramento che tutto rende indistinto e uniforme.
L’Europa deve tornare a interrogare la sua storia, cominciata sulle
sponde del Mediterraneo, in Fenicia, in quell’estremo lembo di terra
che a Oriente ne delimita il confine. Al Mediterraneo e alle sue isole
è infatti legata la vicenda del suo rapimento da parte di Zeus.
Il mito racconta che, quando egli vide la bella fanciulla dall’
“ampio volto” – secondo una possibile etimologia della
parola Europa – raccogliere fiori sulla riva del mare presso Tiro,
se ne invaghì a tal punto che, assunte le sembianze di un docile
toro bianco, decise di sedurla e di trascinarla con sé in una prodigiosa
traversata del mare fino a Creta, dove infine, trasformatosi in aquila,
si congiunse con lei. È dunque delle rive del Mediterraneo, delle
sue terre frastagliate, piene di porti e di golfi, di promontori e di
isole che la storia di Europa ci parla e qui, in questo mare che ha attraversato
in sella a quel singolare destriero, riposa forse il senso ultimo non
solo della sua origine e delle vicende della sua storia, ma anche del
suo avvenire. Come la costa orientale e la traversata del mare ci raccontano
della giovanile bellezza di un’Europa la cui storia è tutta
compresa entro le sponde del Mediterraneo, così l’attrazione
fatale per l’Occidente e il richiamo dell’Oceano ci rammentano
del suo inesorabile declino, nella folle traversata oltre i confini mediterranei,
all’inseguimento del sole che muore.
Forse nessuno meglio di Ulisse incarna, allora, il dilemma di fronte al
quale l’Europa, oggi più che mai, si trova; il dilemma tra
quelle due anime che molto presto hanno cominciato a lacerarla, quella
che la lega alla sua culla e alla sua origine: il Mediterraneo, e quella
che incessantemente l’attrae oltre quei confini avvertiti come troppo
angusti, e la sospinge verso mari ignoti, più aperti, verso l’infinito
spazio libero e vuoto dell’Oceano.
Odisseo è un eroe mediterraneo; il suo viaggio, benché costellato
di infinite diversioni, è sempre un costeggiare, un navigare da
sponda a sponda, da isola a isola, senza mai perdere la nostalgia della
casa, l’ansia del ritorno. Tra terra e mare, il nostos
di Odisseo celebra l’epopea del Mediterraneo ed è tutto racchiuso
entro la sua misura. Smisurata, invece, è la curiositas
che attanaglia l’Ulisse di Dante (10).
Ormai invecchiato e stanco di navigare in un mare i cui confini gli appaiono
troppo ristretti, intraprende il suo viaggio più rischioso volgendo
«la poppa nel mattino», girando le spalle a quell’Oriente
da cui nasce Europa. Ulisse e i suoi compagni si dirigono dunque verso
Occidente, verso il sole calante, verso il tramonto, superando le colonne
d’Ercole e procedendo al di là di quel Termine, di quell’invalicabile
confine oltre il quale si apre, ignoto, lo sterminato spazio dell’Oceano,
mare senza terra, infinita distesa dell’Illimite. Nessuna nostalgia
della terra è più consentita a questi oceanici «argonauti
dell’ideale», a questi «aerei naviganti dello spirito»,
come, alcuni secoli più tardi, li chiamerà un altro grande
cantore dell’Oceano, Friedrich Nietzsche. Precursore di pirati e
balenieri, antesignano di Colombo, l’Ulisse di Dante vuole spingersi
«per l’alto mare aperto» divorato da una brama di conoscenza,
da una volontà di sapere, che spingerà l’Europa al
“folle volo” (11),
dimentica della propria misura mediterranea. Irresistibile più
del canto delle sirene, il richiamo dell’Oceano inviterà
Europa a un viaggio (12)
che la condurrà a perdersi nell’Occidente, a tramontare come
il sole che in quel punto si spegne, a smarrire il proprio baricentro,
identificandosi ormai solo come la terra del sol calante, come Abend-land,
la terra della sera. Non da Tiro a Creta, ma da una sponda all’altra
dell’Atlantico si svolge adesso la prodigiosa traversata di un’Europa
che, avendo smarrito il ricordo della sua origine, si consegna ormai al
destino del Nuovo Mondo sul quale approda.
Di qui procede l’Occidentalizzazione del mondo, da questa hybris
di varcare limiti e confini; dalla seduzione dell’Oceano, dall’esperienza
del suo spazio omogeneo e vuoto nasce la ratio
occidentale, il suo preventivo fare tabula rasa,
al fine di poter meglio calcolare, progettare, trasformare, operare. Di
qui, anche, da questa de cisione oceanica che recide ogni rapporto con
la terra, prende le mosse il pensiero tecnico-economico che, nel nome
dell’Occidente, si è imposto sull’intero orbe terracqueo,
unificandolo all’insegna di quell’uniformità che caratterizza
l’era globale. Potente reductio ad unum,
questo processo solca culture, lingue, paesaggi, come un’indistinta
superficie oceanica, ovunque imprimendo il medesimo sigillo, la medesima
impronta, cancellando differenze, singolarità, specificità
e tutto rendendo perfettamente omogeneo, monocromatico, come tra cielo
e mare.
Tra queste due diverse superfici acquatiche, tra la piatta distesa oceanica
dell’Illimite ed il raccolto spazio del Mediterraneo, di un mare
sempre tenuto a freno da terre, si colloca allora la nostra decisione
circa il destino dell’Europa. Sapremo tornare a interrogare il senso
della nostra storia? Sapremo ricordare ciò che storicamente e geofilosoficamente
significa per noi il Mediterraneo? Esso rappresenta l’esperienza,
unica al mondo, dell’incontro tra mare e terra, di uno spazio di
condivisione che separa e divide, ma anche collega e unisce, favorendo
gli scambi tra identità che, nell’incessante dialogo, vogliono
restare differenti. Nella sua pluralità di confini e frontiere,
è stato luogo di scontro, ma anche di straordinario incontro, di
inesauribile confronto con l’altro, impedendo, moderando ogni drastica
reductio ad unum. Da questo mare di differenze
è nata l’Europa, pluriverso
irriducibile di popoli e lingue, costretti a dialogare tra loro, costretti
alla fatica incessante della traduzione e della distanza. Saprà
questo antico mare circondato di terre essere ancora modello per una configurazione
non universa, ma pluriversa
del mondo? Sapremo diventare tutti, non solo noi europei, ancora una volta
mediterranei e ritrovare, infine, un nuovo nomos,
una nuova misura, tra cielo, terra e mare?
Nonostante la sua attrazione per l’Oceano, Nietzsche è stato
anche un pensatore mediterraneo e certamente aveva compreso la vocazione
mediterranea dell’Europa se in un frammento del 1885 scritto a Sils-Maria,
tra i monti della tanto amata Engadina, così poteva affermare:
«riscoprire in sé il Sud
e tendere sopra di sé un chiaro, splendido, misterioso cielo del
Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza dell'anima;
diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali, più
europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più
greci - giacché la grecità fu la prima grande unificazione
e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l'inizio
dell'anima europea, la scoperta del nostro
“mondo nuovo”: - per chi vive sotto tali imperativi,
chissà cosa potrà mai capitargli un giorno? Forse appunto
un nuovo giorno» (13).
A questo “nuovo giorno” e al “nuovo
mondo” che ci aspettiamo per l’avvenire dell’Europa
e del mondo intero pensava anche Heidegger, quando, all’indomani
della fine del secondo conflitto mondiale, così si interrogava
con apprensione sul destino dell’Europa:
«Siamo forse gli ultimogeniti di una storia
che va ora rapidamente verso la sua fine, mortificando ogni cosa in un
ordine sempre più desolato ed uniforme? […] Siamo forse alla
vigilia della più mostruosa trasformazione della Terra intera,
e del tempo dello spazio storico a cui essa è legata? Siamo alla
vigilia di una notte che prelude a un nuovo mattino? Siamo in cammino
verso il luogo storico di questo crepuscolo della Terra? Sta nascendo
solo ora questo luogo della sera [Land
des Abends]? Questo Occidente [Abend-Land]
diverrà – al di sopra dell’“Occidente”
[Occident]
e dell’“Oriente” e attraverso ciò che è
europeo – il luogo della storia futura più originariamente
conforme al destino [geschickt]?
Possiamo dirci occidentali nel senso rivelato dal nostro passaggio attraverso
la notte del mondo?» (14).
Solo compiendo sino in fondo quel ‘destino’ che è l’Occidente,
solo, dunque, quando l’Europa sarà in grado di riconoscersi
come quella terra della sera che era destinata a diventare, le sarà
forse possibile, secondo Heidegger «andare incontro alle decisioni
future, diventando forse, in un modo del tutto diverso, la terra di un
mattino» (15).
10. Si tratta, com’è noto,
di un episodio rievocato da Dante nel canto XXVI dell’Inferno.
11. Al viaggio dell’Ulisse dantesco e al suo concludersi nel «folle
volo» ha dedicato splendide pagine M. Cacciari, L’Arcipelago,
cit., pp. 63-71. Importanti osservazioni, anche riguardo alla ‘misura’
del Mediterraneo rispetto alla dismisura dell’Oceano, si trovano
in F. Cassano, «Mediterraneo», in Il
pensiero meridiano, cit.
12. Baudelaire
13. F. Nietzsche, Frammenti postumi
1884-1885, vol. VII, tomo III, Opere di Friedrich
Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, tr. it. di S. Giametta,
Adelphi Milano 1975 41 [7], p. 329-330.
14. M. Heidegger, Il detto di Anassimandro
(1946), in Sentieri interrotti, tr.
it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 303.
15. M. Heidegger, Che cosa significa pensare?,
tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, SugarCo, Milano 1988, p. 129.
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