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          | Caterina Resta Ricordare l’origine. Riflessioni geofilosofiche
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          | “DRP”, 4, 2002, pp. 11-18 |    3. L’origine 
        dimenticata Er-örterung, almeno 
        nel singolare significato che Heidegger attribuisce a questa parola, suonerà 
        allora come il contrario di Ent-ortung: se 
        quest’ultima indica il nichilistico processo di de localizzazione 
        che strappa via ogni radice e cancella ogni Dove, Er-örtern 
        vorrà allora dire “indicare il luogo”, mettersi alla 
        ricerca del Luogo [Ort], ritrovarlo, persino, 
        non tanto nel senso puramente “conservatore” di resuscitare 
        il passato, quanto nel senso, tutto rivolto all’avvenire, di ritrovare 
        quella Origine, mai immediatamente attingibile, a partire dalla quale 
        soltanto sorge un Luogo.
 Mettersi alla ricerca del Luogo, di quel Luogo che Messina ormai da molto 
        tempo ha cessato di essere, significa mettersi in cammino verso la sua 
        origine, verso l’origine della sua forma urbis. 
        Su questa via, storia e geomorfologia s’incontrano, intrecciando 
        un rapporto davvero inestricabile che segnerà sin dall’inizio 
        il destino della città: constatare quanto sia stato smarrito il 
        senso e addirittura i segni di questo ineluttabile incontro è la 
        più eloquente testimonianza dello smarrimento e della de-localizzazione 
        che, per quanto del tutto inconsapevolmente, caratterizza ormai i suoi 
        abitanti.
 
 Dove origina Messina? Non v’è dubbio che a questa domanda 
        vi sia una sola risposta: nel suo nome più antico, Zankle, il primo 
        insediamento urbano riconobbe nell’esigua striscia di terra a forma 
        di falce [zanklon] un indissolubile legame 
        geostorico. In quella falce che il mito fa risalire addirittura a Crono, 
        con la quale egli avrebbe evirato il padre Urano, per poi gettarla ancora 
        sanguinante in mare, principia, prende forma, inizia 
        la città, segnandone per sempre il destino, una storia che, a partire 
        dalla straordinaria posizione geografica di questa lingua di terra scagliata 
        in mezzo allo Stretto e alle sue ritmiche correnti, farà di Messina 
        una città medi-terranea, tanto più carica di avvenire, quanto 
        più in grado di prestare ascolto al richiamo della sua origine, 
        a quel serrato dialogo tra terra e mare da cui è, all’inizio, 
        sorta. Un dialogo che sicuramente conobbe tra Cinquecento e Seicento il 
        suo momento di massima intesa, nel progetto di Jacopo Del Duca di abbattere 
        la cinta muraria medievale che chiudeva difensivamente lo spazio urbano 
        al suo affaccio sullo Stretto, per aprire la città al diretto confronto 
        con il mare, nella consapevolezza ormai raggiunta di un continuum 
        che unisce la zona falcata alla banchina del porto e che troverà 
        straordinaria e matura espressione architettonica nella Palazzata, realizzazione 
        di un teatro marittimo che, nel visionario progetto di Juvarra, avrebbe 
        dovuto spingersi fino a Capo Peloro. Falce e Peloro, come aveva già 
        presentito Strabone, appaiono ormai inscindibilmente uniti (8), 
        nel disegno di un confine terracqueo che definisce la città stessa, 
        dal suo punto d’origine fino all’estremo lembo un cui si spartisce 
        tra i due mari. Lungo questo asse prende 
        forma la città che nella punta della Falce inizia 
        per compiersi nell’altra punta, il Peloro, inizio ancora più 
        “antico”, dove si origina e prende forma, tagliandosi dal 
        continente, l’intera Isola. Se capo Peloro avanza nel mare come 
        una prua, all’incrocio delle correnti, la Falce cerca invece di 
        circuirlo, di sedarlo, di trattenerlo in un abbraccio, offrendo il riparo 
        del porto. Qui, non altrove, riconosciamo, seppure terribilmente sfregiati, 
        l’originaria presenza di Luoghi e solo qui, nel contrappunto tra 
        Falce e Peloro, può dispiegarsi la forma 
        urbis di Messina, che solo dal riconoscimento della Falce come 
        proprio luogo d’origine potrà ancora, forse, trovare se stessa.
 
 Qui l’Erörterung può arrestarsi 
        poiché il Luogo sembra infine rivelarsi e attestare la sua profonda 
        misura.
 
 8. All’ascolto del «dialogo serrato tra Zankle e Peloro» 
        (p. 65) è protesa tutta la riflessione di N. Aricò, Illimite 
        Peloro, cit. La stretta relazione che lega Falce e Peloro viene 
        sottolineata anche da A.M. Prestianni, Il Peloro 
        nell’antichità. Mito scienza storia, “Pelorias”, 
        9, 2002.
 
  
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