P. Klee,
Ancient Sound
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Caterina Resta
10 tesi di Geofilosofia
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4. La Geofilosofia è una filosofia
radicale
Con la parola 'geofilosofia' non si vuole indicare una
nuova disciplina. Essa, al contrario, intende contestare la parcellizzazione
progressiva dei campi del sapere, non semplicemente attraverso un incontro
interdisciplinare, ma mediante il riconoscimento di quella radice comune
che è al fondo di ogni esperienza umana del mondo: l'abitare sulla
Terra. In questo senso la Geofilosofia è una filosofia radicale,
perché va in cerca di quanto più originariamente ed essenzialmente
costituisce l'essere dell'uomo in quanto uomo. Ma essa vuole anche essere
una filosofia radicata, nel tentativo di
trasformare l'arido deserto del nichilismo in un fertile terreno di crescita
per le umanità storiche che in esso risiedono. Un abitare sempre
radicato in un qui-e-ora singolare, dunque sempre in un
tempo, ma anche in uno spazio determinati,
consente a ciascuna esistenza di aver luogo
volta per volta in un determinato idioma,
entro il quale pietra, pianta, animale e l'insieme del paesaggio 'fisico'
non facciano solo da sfondo, ma divengano gli elementi essenziali e costitutivi
di un mondo condiviso.
Affermare la necessità del radicamento non deve tuttavia essere
confuso con alcuna nostalgia Blut und Boden,
né deve comportare alcuna concessione nei confronti di dottrine
etnico-razziali, in ultima istanza biologistiche. In questo senso lo sradicamento
operato dal nichilismo segna davvero un punto di non ritorno che nessuna
nostalgia regressiva può cancellare. L'organicismo che alimenta
ogni concezione etnica del radicamento va pertanto ricondotto alla sua
vera matrice: una concezione in ultima istanza meramente biologistica
dell'uomo in quanto animal rationale. Questa
concezione, affermata in modo particolarmente sinistro dal nazionalsocialismo,
è ancora pericolosamente operante in molte delle attuali rivendicazioni
di identità nazionale e va pertanto decisamente riconosciuta, decostruita
e combattuta. Per tali ragioni il concetto stesso di 'razza' non sembra
più utilizzabile. Si tratta allora di ripensare la radice di là
dalla sua declinazione etnica, per scoprirne i risvolti etici. Ethos
indica qui, originariamente, quell'abitare sulla terra che è già
da sempre un abitare storico, un colere.
Abitare la terra vuol dire infatti averne cura, coltivarla, coltivarsi
in essa, coltivandone al tempo stesso il carattere intrinsecamente simbolico
e spirituale. C'è una splendida immagine della mistica ebraica
che mostra un albero rovesciato con le radici rivolte al cielo. In questa
prospettiva capovolta, esso sta ad indicare il carattere sradicante di
ogni radicamento che, affondando le radici nella Terra, è tuttavia
da altrove che trae la sua linfa vitale.
Avvertire, nell'epoca del nichilismo compiuto, la necessità di
un nuovo radicamento significa allora al contempo disincantare ogni mito
dell'autoctonia e della purezza razziale e, d'altra parte, ripiantarsi
nel terreno dei simboli, nel quale soltanto abbiamo possibilità
di crescere, con la consapevolezza tuttavia che nessuna rimitizzazione
può riattualizzarli, ma che si tratta piuttosto, nell'epoca della
compiuta demitizzazione, di ri-cor-darli,
custodendone la silenziosa memoria in cui si sono sedimentati.
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