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DI GEOFILOSOFIA


P. Klee, Ancient Sound

Caterina Resta

10 tesi di Geofilosofia

6. La Geofilosofia è un'idiologia ed un'idiomatica

Assumendo la Terra nella sua valenza simbolica, per la Geofilosofia il luogo è sempre anche una evento di parola. Abitare la terra significa aver-luogo nella parola, anche quando più impercettibilmente essa ci parla dal misterioso silenzio della natura. Questa cifratura, che come un'invisibile rete di rimandi ricopre il mondo, pur corrispondendo ad un linguaggio elementare, comune a ciascun ente, tuttavia parla volta per volta da ogni cosa in modo diverso. Se la Terra è la madre generatrice del tutto, essa ci fa anche nascere al linguaggio, nel cui grembo già da sempre ogni esistente è radicato. Facendoci dono della parola, la madre terra si concede a noi sempre anche come madre lingua, lasciandosi dire da ogni esistente. Per tale ragione sono necessarie più lingue, più voci, innumerevoli idiomi per dire l'infinita nomenclatura dell'essere. E' tuttavia nella voce dell'uomo che il linguaggio delle cose trova il luogo della propria dizione. Nominazione ogni volta originaria, come quella adamitica, ogni volta unica. Nella lingua singolare che annuncia il venirci incontro del mondo, l'idioma mostra la sua residuale intraducibilità, il suo provenire dal mistero di una terra, di una lingua, che, nell'offrirsi alla parola, divengono comunicabili, pur sottraendosi sempre ad una totale dicibilità, e solo per ciò, anche, ad un totale consumo.
Affermare la necessità della salvaguardia degli idiomi, non significa, tuttavia, tessere l'elogio della chiusura incomunicabile o tentare di imbalsamare la lingua, nella pura e semplice tutela museale delle parlate 'locali'. E' invece necessario comprendere il rispetto per gli idiomi in una dialettica inchiudibile tra singolare e plurale, particolare e comune, dal momento che 'locale' non va inteso come spazio chiuso, ma come frontiera sempre aperta al confronto con l'altro. E non vi può essere confronto se non a partire da un'opera incessante di traduzione, la quale non solo scopre valichi e passaggi, ma anche intransitabili interruzioni. Soltanto accettando che vi è dell'inaccessibile alla comunicazione, è possibile accedere a un dialogo in grado di rispettare la differenza come quella distanza che gli interlocutori hanno in comune, in virtù della quale la separazione stessa può divenire rapporto. E' questo l'insondabile fondamento di ogni comunità, che le impedisce strutturalmente di chiudersi in se stessa e di appropriarsi di sé in un'identità che sempre dall'altro è costretta ad attingere.
Nel linguaggio universale del villaggio globale, veicolato dalla tecnica, e che tutti siamo chiamati a condividere, poiché in esso, volenti o nolenti, siamo gettati, è importante che ciascuno custodisca e coltivi l'ascolto della parola, della propria parola che giunge a farsi intendere solo nell'ascolto della parola dell'altro; ma ancora più importante è che ciascuno impari a salvaguardare il silenzio, nel quale pietra, pianta, animale, dio parlano il medesimo inaudito idioma. Nella Terra, che lo custodisce, esso lentamente si è sedimentato e la sua stratificata memoria è la nostra vera e unica inesauribile risorsa.

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